
Bernardo Rossellino, prezioso scultore e architetto di squisito talento è giustamente ritenuto uno fra i padri fondatori del Rinascimento. Nella sua lunga e interdisciplinare attività ridisegnò la Basilica di San Pietro, eseguì la tomba per l’umanista Leonardo Bruni, ispirandosi all’arcosolio romano, tipico genere di sepoltura catacombale, codificando un nuovo modello di riferimento in questo genere di linguaggio scultoreo, creò a Pienza quel bellissimo e visionario modello di città ideale rinascimentale, quasi un progetto teorico riportato in muratura, che vide tre palazzi e un edificio sacro (il Duomo) far cerchio attorno a una piccola piazza perfetta e a Firenze diresse i lavori di costruzione di quel palazzo che diventerà il primo vero riferimento del pensiero rinascimentale in architettura, dove l’esattezza dei pesi e di equilibrio diventa concetto di bello assoluto e di platonica intuizione del divino.
Ed eresse palazzo Rucellai ma su progetto non suo, bensì del suo maestro e mentore, quel Leon Battista Alberti l’indiscusso teorico dell’Architettura rinascimentale che, a differenza di altri architetti, impegnati a procacciarsi commesse importanti, denaro e notorietà, fu molto più interessato a indirizzare il proprio genio verso la ricerca di valori teorici di perfezione, tanto che ciò gli permise di essere riconosciuto come riferimento per tutti gli altri, anche per gli immancabili antagonisti.
Insomma nella fiorentina e centralissima via della Vigna 18, arteria che collega via Tornabuoni al Lungarno, il palazzo dei Rucellai, famiglia di facoltosi mercanti, dall’alto della sua paradigmatica e svettante facciata, ci ricorda, forse più di qualsiasi altro grande edificio della Firenze rinascimentale, le ambizioni estetiche e gli equilibrati e armonici stilemi di questa fondamentale età dell’arte universale che lo stesso Alberti esprimerà nella sua fondamentale opera, il De Re Aedificatoria, scritta nel 1452, l’anno seguente del completamento del palazzo, quasi lo stesso avesse significato una messa in pratica di idee ancora da verificare, poi confermate dallo splendido risultato, così da dare all’Alberti la certezza di essere sulla strada giusta nel suo continuo sforzo di mutuare l’arte classica in una nuova maniera che da essa riprendesse i principi d’equilibrio, geometria e purezza estetica.
Ed eccoli gli insegnamenti dell’Alberti, che possiamo vedere espressi nelle fattezze del suo paradigmatico palazzo e ancora più in questa facciata che diverrà modello ideale per l’intero Rinascimento europeo. Facciata a piatte bugne di pietra forte, quasi un alveare composto e leggero con capitelli di ordine dorico ma ‘rilette’ dalla sorvegliata e coerente fantasia dell’architetto. E dove al piano terreno eleganti lesene di ordine tuscanico sveltiscono e ‘innalzano’ le poderose dimensioni del complesso. Molti riferimenti dell’architettura classica rivivono al piano nobile, (fra cui i vari ordini architettoni dei capitelli) fondendosi, come in un coerente unicum, con elementi ancora di derivazione tardo medievale, quali le finestre bifore e il solido bugnato. Infine, all’ultimo piano belle paraste di tipo corinzio si alternano a bifore delle stesso stile, in una sovrapposizione di ordini che è un chiaro omaggio alle teorie di Vitruvio, pater architecture dello stesso Alberti.
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