
In qualche modo è un unicum, villa Orlando, il singolare prodotto di un periodo della storia italiana ancora assai presente nella nostra memoria collettiva o almeno in quella memoria trasmessaci dai nostri nonni e che ancora deve fare i conti con l’analisi obiettiva della storia.
L’edificio, sito a Torre del Lago, a lambire le acque del lago, conserva memorie artistiche, politiche, estetiche che le danno un fascino singolare e anche un po’ misterioso. Dal punto di vista architettonico è un classico esempio di gusto neogotico, con tanto di bella torre merlata a ricordare gli stilemi di quella maniera riferita alla costruttiva medievale. Ma ancor più di questo affascina, appunto, la sua vicenda, che richiama la memoria del Sor Giacomo (Puccini), delle sue battute di caccia a germani, beccaccini e alle amate folaghe, di cui era ghiottissimo (del resto la sua ben nota dimora di Torre del Lago sorgeva a pochissima distanza dalla nostra villa). E pure intriga quel clima un po’ decadente, vorremo dire dannunziano che la pervade, quei simboli che la connotano e le danno un’aria vagamente esoterica, con quel bel parco di vialetti simbolici e quelle belle piante d’alto fusto, fra cui querce e platini imponenti, che la contengono e la preservano nel suo mistero.
Ma andiamo per ordine. La sua costruzione è relativamente recente visto che risale alla seconda metà dell’Ottocento. Inaugurata nel 1869 come residenza di caccia del ricco mercante di stoffe d’origine alsaziana, Pietro Kotzian su progetto dell’architetto e ingegnere fiorentino Gino Patchò, la dimora fu corredata da una prestigiosa scalinata di rappresentanza, abbellita da leoni. Scalinata che ci conduce a un vasto atrio che connette l’ingresso principale al salone da pranzo, con soffitto a volta affrescato dal pittore livornese Gugliemo Micheli, spiritaccio verace e sanguigno e pittore di ‘Macchia’ di considerevoli mezzi, già allievo di Giovanni Fattori e primo maestro di Amedeo Modigliani, che ferma uno scorcio portuale (il porto è quello della sua Livorno). Poco dopo, nella sala della musica, che guarda le acque del lago, ci attende un altro affresco di una più estetizzante bellezza. L’autore è Francesco Fanelli, anch’esso livornese e del precedente coetaneo ma più interessato alle correnti postmacchiaiole che poi dirotteranno verso il simbolismo e che dipinge un quasi sonoro volo di germani che decollano dal pelo dell’acqua. La facciata posteriore della villa si accorda a una grande terrazza, quasi una ‘banchina’ poggiante sulle acque.

Circa venti anni più tardi l’ingegner Salvatore Orlando, rampollo di una potente famiglia di imprenditori navali di stanza a Livorno ma anche legati alle recenti vicende dell’Unità Italiana, compra la villa, diviene fraterno amico di Puccini e i due eleggeranno la dimora, riconfermandone l’identità, a punto di riferimento per grandi battute di caccia, aperte anche a molti loro amici. E dopo ogni battuta tutti attorno ad un ricco desco imbandito a godersi i piaceri del cibo e di vini prelibati. Fra i tanti loro amici piace ricordare alcuni importanti artisti quali Plinio Nomellini, lo stesso Fanelli, i fratelli Angelo e Adolfo Tommasi e molti altri. Questa allegra brigata di goderecci cultori dei piaceri della vita, poco dopo, costituirà, il celebre “Club di Bohème” che proprio a villa Orlando avrà la sua sede.
Ancora oggi la villa appartiene ai discendenti della famiglia Orlando.
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