
Sul finire del Quattrocento la fiorentinissima via San Gallo esisteva già ma in qualche modo era l’ultimo prolungamento del centro cittadino che portava oltre le mura, verso una zona in nuova edificazione che si mescolava alla campagna. Zona dove Giannozzo Pandolfini, Vescovo della pugliese città di Troia, ma fiorentino di famiglia e nascita, prese in affitto dai frati di Montesenario il Monastero di San Silvestro, da anni caduto in disgrazia. Il Pandolfini riuscì poco più tardi a ottenere da Leone X, il papa Medici, una bolla che gli permetteva l’acquisto dell’immobile a patto che di questo fosse preservato l’oratorio. L’avveduto vescovo ha in mente di costruire in quest’area un grande palazzo di famiglia che certo potrà essere il fulcro di quest’area in divenire.
Intanto, siamo agli albori del secolo seguente, arriva in città un pittore poco più che ventenne con promettentissime credenziali, avendo già dato ampia prova di sé nella nativa Urbino, poi a Perugia e ancora a Siena. È il ventiduenne Raffaello Sanzio, bramoso di perfezionare la sua arte proprio nella città della grande e ‘nuova’ pittura (in quei giorni Leonardo e Michelangelo si stanno affrontando in Palazzo Vecchio nella realizzazione delle rispettive Battaglia di Cascina e Battaglia di Anghiari). Raffaello, prima di prendere la strada di Roma, si tratterrà a Firenze dal 1504 al 1508, facendosi apprezzare dalla nobiltà fiorentina, che lo incaricherà di eseguire molti dipinti, e certo anche dal Pandolfini. Nel 1514, come ci racconta il Vasari, l’Urbinate, ormai al vertice della sua fama, è incaricato dal nobile prelato di progettare, appunto, il tanto desiderato palazzo di famiglia. L’artista, ormai impegnatissimo a Roma, disegna il progetto inviando a Firenze il fido assistente Giovanfrancesco da Sangallo a seguirne i lavori di costruzione.
Il risultato sarà di grande novità ed effetto visto che l’edificio, pur riferendosi alla costruttiva fiorentina, nell’elegante linearità del disegno e nelle belle e armoniche proporzioni, si presenta anche con accenti di gusto romano e quasi manierista, soprattutto nella bella terrazza, che dà al già misurato corpo di fabbrica un’ulteriore sveltezza. Molto ammirato dai contemporanei sarà anche il prezioso giardino all’italiana, nell’Ottocento in parte smantellato per essere trasformato in un piccolo parco romantico, che il poeta Benedetto Varicensio, in una sua lettera del 1525, descrive con toni di ammirazione, sottolineando la piacevolezza della bella fontana con giochi d’acqua e le grandi piante di agrumi.
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