La pennellata del pisano Giovanni Battista Tempesti è rapida, mirabilmente sintetica, di tocco. Frutto di una tecnica e d’una scelta estetica ancora riferita all’ariosa levità del Rococò, in particolare a quella sensibilità di visionario effetto anti-realistico derivato dal chiarismo veneto ma mutuata e attutita da quella più disegnata e materica dei maestri fiorenti coevi, quali il Gabbiani, a cui Tempesti guardò con discepolare attenzione. I colori sgargiano, le figure si ammantano d’una trasognata trasparenza tattile, la rappresentazione diventa un’impronta elegante e simbolica.
Altrettanto qualitativa la maniera pittorica del fiorentino Agostino Veracini, generazione precedente al Tempesti, e formatosi alla lezione di Sebastiano Ricci, che, seppure pienamente rococò nei colori e nella sensibilità compositiva, pare ancora portare un ultimo debito barocco per certi suoi contrasti luministici e per una certa solenne staticità delle figure.
I due maestri s’incontrano nel grande salone da ballo del pisano Palazzo Ruschi, grandiosa dimora d’impianto rinascimentale, interamente affrescato dalle loro opere, riportate a una nuova evidenza da un lungo e attento restauro.
Per l’VIII Giornata Nazionale, il palazzo è stato aperto al pubblico che ha così potuto ammirare per la prima volta un compendio qualitativamente significativo del Settecento pittorico pisano: La Natura che offre al Sole i frutti delle Quatto Stagioni (1746), dipinto nella volta del salone e i due dei grandi ‘quadri’ laterali raffiguranti Il Fuoco e L’Aria (1751-1752), opere del Veracini e L’Acqua e La Terra, dipinte invece qualche anno più tardi (1758) dal Tempesti, a completamento del grande pensiero allegorico immaginato per il salone.
Nell’attigua e suggestiva ‘Stanza Buia’, sempre il Veracini, decorerà a monocromo le pareti, lasciando nella volta, L’apoteosi della Primavera, ulteriore pittura a fresco di maniera sicura e grandiosa.
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