Terre vive di argilla, antiche di battaglie e cavalieri, spoglie d’alberi e di verde, astratte e metafisiche, come disegnate dalla geometrica sensibilità di Piero della Francesca, pensate dall’ambizione intellettuale di Leon Battista Alberti e poi ingentilite dalla tavolozza sfumata, pulviscolare e stratificata di Leonardo. Un unicum in Toscana quello delle Crete Senesi, dove il verde non straripa, le vigne non affollano, dove perfino le ulivete paiono solo di supporto a una grande terra di pascolo e di seminativo, ch’è un luogo asciutto e di visione. Come un’ambizione naturalistica di vera libertà.
In questa essenziale bellezza gli antichi insediamenti, le ville, i castelli, spuntano dalla terra imperiosi, come in un pentagramma gregoriano: punti scuri e solidi incisi su una carta pergamena di gran valore, ossia questa terra calcarea e farinosa che ha il potere di rasserenare. Terra da sempre senese, territorio strategico di difesa a sud per l’orgogliosa Repubblica del Palio.
Sopra un piaggia cretosa, a un passo dallo scorrere del torrente Sorra, lungo la strada provinciale per Murlo sorgono le spoglie, nel tempo ricomposte in forme di serena villa patrizia, del castello di Radi di Creta, nel Basso Medioevo uno fra i più solidi avamposti a difesa di Siena. Ma Radi era già una fortificazione nel X secolo, come accerta un documento coevo, in tempo di pieno feudalesimo era dotato di 5 torri d’avvistamento e dal XIII secolo fu addirittura sede podestarile. Poi il suo destino incontrò uno fra i più temibili condottieri di quei secoli belligeranti, l’inglese John Hawkwood, che Machiavelli, italianizzò in Giovanni Acuto (quello che Paolo Uccello ritrasse a cavallo, bardato da gran condottiero che ammiriamo nel Duomo di Firenze).
Il grande soldato di ventura, in quel momento al soldo di Firenze, espugnò il castello e lo rase al suolo tirando giù mura e scapitozzando torri, com’era in uso fare al tempo, per segnare definitivamente la vittoria con una distruzione totale, affinché anche la memoria dei vinti non potesse sopravvivere.
Invece la bella dimora odierna, dal 1600 appartenente ai marchesi Bichi Ruspoli, che ha le fattezze liete e serene di una villa gentilizia, resa ancora più preziosa da una cappella cinquecentesca che conserva una tavola vicina alla maniera di Fra Bartolomeo e attorniata da splendidi giardini, poggia le sue fondamenta sulle ‘radici’ di quel glorioso maniero la cui memoria è visibile e tangibile in resti di mura e in una torre, unica sopravvissuta di quelle 5 gloriose.
Insomma l’anima e la memoria di Radi sono ancora il castello, ciò che appare è invece un complesso che ha perso i suoi riferimenti guerreschi ma non la sua importante memoria.
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